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Corte di giustizia Europea: è obbligatoria la verifica dell’assenza di sostanze pericolose nel rifiuto

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La Corte di giustizia europea si è pronunciata su alcuni aspetti che riguardano la normativa vigente sui rifiuti a seguito di taluni procedimenti penali a carico di imprenditori ed Aziende italiane, cui veniva contestato il reato di traffico illecito di rifiuti.

Le cause

La corte di Giustizia europea si è recentemente espressa, nelle cause riunite da C‑487/17 a C‑489/17, con riferimento a:

  • quale debba essere la corretta interpretazione della gerarchia dei rifiuti, ovvero delle opzioni che danno il miglior risultato ambientale complessivo;
  • le caratteristiche di pericolo dei rifiuti;
  • l’elenco europeo dei rifiuti.

L’esigenza era sorta nell’ambito di procedimenti penali pendenti a carico di taluni soggetti ed Aziende insistenti sul territorio italiano per reati riguardanti, in particolare, un traffico illecito di rifiuti.

Premesse alla sentenza: il contesto normativo

La sentenza è stata l’occasione per formalizzare il quadro normativo del settore a livello comunitario ed interno. In particolare, per quanto attiene il primo, la Direttiva Quadro n. 98/2008, recentemente modificata con la n. 851 del Giugno 2018, prevede[1] che:

  • la classificazione dei rifiuti come pericolosi debba essere basata, tra l’altro, sulla normativa comunitaria relativa alle sostanze chimiche, in particolare per quanto concerne la classificazione dei preparati come pericolosi, inclusi i valori limite di concentrazione usati a tal fine;
  • i rifiuti pericolosi dovrebbero essere regolamentati con specifiche rigorose, al fine di impedire o limitare, per quanto possibile, le potenziali conseguenze negative sull’ambiente e sulla salute umana di una gestione inadeguata;
  • sia necessario mantenere il sistema con cui i rifiuti e i rifiuti pericolosi sono stati classificati in conformità dell’elenco di tipi di rifiuti stabilito da ultimo dalla Decisione 2000/532 (…) al fine di favorire una classificazione armonizzata dei rifiuti e di garantire una determinazione armonizzata dei rifiuti pericolosi all’interno della Comunità.

Il medesimo atto prevede che i Membri debbano tenere conto dei principi generali in materia di protezione dell’ambiente [,] di precauzione e sostenibilità, della fattibilità tecnica e praticabilità economica, della protezione delle risorse nonché degli impatti complessivi sociali, economici, sanitari e ambientali.

Nella sentenza, la Corte richiamava anche il contenuto dell’elenco dei rifiuti, che deve includere i rifiuti pericolosi e tenere conto dell’origine e della composizione dei rifiuti e, ove necessario, dei valori limite di concentrazione delle sostanze pericolose, definendolo come vincolante per quanto concerne la determinazione dei rifiuti da considerare pericolosi, ricordando come l’inclusione di una sostanza o di un oggetto nell’elenco non significa che esso sia un rifiuto in tutti i casi. Una sostanza o un oggetto è considerato un rifiuto solo se rientra nella definizione stessa di rifiuto.

Gli addebiti

Nella sentenza si specificava che, dalle ordinanze di rinvio, risultava che i soggetti imputati, nelle loro rispettive qualità di gestori di discariche, di società di raccolta e di produzione di rifiuti nonché di società incaricate di effettuare le analisi chimiche dei rifiuti, fossero sospettati di aver realizzato un traffico illecito di rifiuti, ed in particolare che veniva contestato loro, in relazione a rifiuti ai quali potevano essere assegnati sia codici corrispondenti a rifiuti pericolosi sia codici corrispondenti a rifiuti non pericolosi (i c.d. “codici a specchio”), di aver trattato tali rifiuti come non pericolosi.

Si contestava che, in base ad analisi chimiche non esaustive e parziali, essi avrebbero attribuito a detti rifiuti codici corrispondenti a rifiuti non pericolosi e li avrebbero, poi, trattati in discariche per rifiuti non pericolosi.

La sentenza

La Corte ha statuito che:

  1. il detentore di un rifiuto, che può essere classificato sia con codici corrispondenti a rifiuti pericolosi sia con codici corrispondenti a rifiuti non pericolosi, ma la cui composizione non è immediatamente nota, deve, ai fini di tale classificazione, determinare detta composizione e ricercare le sostanze pericolose che possano ragionevolmente trovarvisi onde stabilire se tale rifiuto presenti caratteristiche di pericolo, e a tal fine può utilizzare campionamenti, analisi chimiche e prove previsti dal regolamento (CE) n. 440/2008 della Commissione, del 30 maggio 2008, che istituisce dei metodi di prova ai sensi del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH) o qualsiasi altro campionamento, analisi chimica e prova riconosciuti a livello internazionale;
  2. il principio di precauzione deve essere interpretato nel senso che, qualora, dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, il detentore di un rifiuto che può essere classificato sia con codici corrispondenti a rifiuti pericolosi sia con codici corrispondenti a rifiuti non pericolosi si trovi nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare le caratteristiche di pericolo che detto rifiuto presenta, quest’ultimo deve essere classificato come rifiuto pericoloso.