Formazione e Consulenza sull'Ambiente, energie rinnovabili e rifiuti

Università di Plymouth: le buste biodegradabili …. non sono degradabili!

Condividi
Facebook
Twitter
LinkedIn

Con una ricerca, pubblicata sulla rivista Environmental Science & Technology, l’Università britannica di Plymouth ha riscontrato un sorprendente risultato sulla degradazione biologica delle buste bio.

I risultati dell’indagini.

Al fine di verificare esattamente la rispondenza all’obiettivo per cui erano state create, i ricercatori, Imogen E. Napper e Richard C. Thompson dell’Università di Plymouth, hanno posto a confronto quattro materiali di diversa composizione, al fine di testarne, nel corso del tempo, la degradazione. Nell’arco di tre anni, polietilene ad alta densità (la plastica tradizionale da idrocarburi), plastica oxo-biodegradabile (prodotta da idrocarburi e addizionata con sostanze che ne favoriscono la frammentazione in tempi brevi), plastica biodegradabile (che si dissolve nell’ambiente al 90% in 6 mesi), plastica compostabile (che si disintegra in 3 mesi e può essere utilizzata per produrre il fertilizzante compost).

Con risultati sorprendenti: nessuna delle buste delle tipologie sopra riportate si degrada rapidamente nell’ambiente come ci si sarebbe attesi, neppure quelle biodegradabili o compostabili, ed in ogni condizione (in laboratorio, all’aria aperta, sottoterra oppure nell’acqua di mare).

In particolare, secondo le evidenze empiriche mostrate dall’indagine:

  • In mare una busta compostabile si degrada completamente in 3 mesi
  • Nel suolo essa rimane ancora integra dopo due anni.
  • All’aperto le buste di tutti i materiali si riducono in frammenti che finiscono ovunque.

I ricercatori evidenziano come per nessuna delle tipologie in esame vi è certezza di un sostanziale deterioramento in un periodo di tre anni in tutti gli ambienti, ovvero non risultata chiaro se le formule oxo-biodegradabile o biodegradabile forniscano tassi di deterioramento sufficientemente avanzati da essere vantaggiosi, al fine di ridurre la spazzatura marina, in confronto alle buste convenzionali.

Sul punto si è espressa Assobioplastiche, l’Associazione Italiana delle bioplastiche e dei materiali biodegradabili e compostabili – Assobioplastiche – è stata fondata nel 2011 da produttori di bioplastiche, trasformatori di bioplastiche in manufatti, commercianti e distributori di prodotti in bioplastiche, enti di ricerca, associazioni e gestori degli impianti di trattamento della frazione organica.

Essa evidenzia l’assenza di novità su quanto mostrato, prendendo le distanze dall’analisi condotta dall’Istituto inglese, sottolineando che rimane scorretto utilizzare il termine biodegradabile rispetto a prodotti a base di polimeri tradizionali o con l’aggiunta di additivi che ne accelerano la frammentazione (c.d. oxo-degradabili), e che gli unici prodotti a potersi fregiare correttamente di tale definizione sono quelli in bioplastica compostabile, come peraltro già chiarito nel 2015 in Italia dall’AGCM (Direzione Tutela del Consumatore) nel caso dei sacchetti oxo-degradabili, all’epoca utilizzati da alcune insegne della GDO.