Con il recepimento del Circular Economy Package, il nostro Paese si è dotato di una prescrizione che consentiva alle utenze non domestiche, che pure producono rifiuti urbani, di poter continuare ad affidarsi ad operatori privati, anziché all’operatore pubblico. AGCM, l’autorità garante per concorrenza ed il mercato, è tornata nuovamente sull’argomento, esprimendo una propria valutazione lo scorso 5 agosto 2022.
Il testo dell’art. 238, comma 10 dopo il recepimento
Prima di vedere il tema del parere, occorre senza dubbio un breve riepilogo delle puntate precedenti.
Con il recepimento della Direttiva n. 851 del 2018, il nostro Paese, con il D.Lgs. n, 116 del 3 settembre 2020, che modificava il contenuto dell’art. 238 del Testo Unico Ambientale (TUA, D.Lgs. n. 152/2006), si stabiliva che i produttori di rifiuti urbani classificati come utenze non domestiche (le imprese, tanto per intenderci), poteva decidere, in merito ai loro rifiuti non pericolosi prodotti a seguito di attività produttive, se affidarle al gestore del pubblico servizio, oppure ad operatori privato. Si prospettava, come significativo problema, quello di doversi vincolare, per l’utenza in questione, per un periodo di 5 anni.
Le utenze non domestiche che producono rifiuti urbani di cui all’articolo 183 comma 1, lettera b-ter) punto 2, che li conferiscono al di fuori del servizio pubblico e dimostrano di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi sono escluse dalla corresponsione della componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti; le medesime utenze effettuano la scelta di servirsi del gestore del servizio pubblico o del ricorso al mercato per un periodo non inferiore a cinque anni, salva la possibilità per il gestore del servizio pubblico, dietro richiesta dell’utenza non domestica, di riprendere l’erogazione del servizio anche prima della scadenza quinquennale. |
Il testo dell’art. 238, comma 10 dopo
Successivamente, profilandosi la possibilità di ledere il principio della libera concorrenza, il Governo, con DL n. , è intervenuto nuovamente, andandolo a modificare, l’art. 238. In paritcolatre viene eliminata la perifrasi per cui viene fatta “salva la possibilità per il gestore del servizio pubblico, dietro richiesta dell’utenza non domestica, di riprendere l’erogazione del servizio anche prima della scadenza quinquennale.” Ma soprattutto, viene modificata la durata dell’affidamento del servizio di raccolta all’operatore privato, che ore ascende da 5 a due anni.
Le utenze non domestiche che producono rifiuti urbani di cui all’articolo 183, comma 1, lettera b-ter), numero 2., che li conferiscono al di fuori del servizio pubblico e dimostrano di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi sono escluse dalla corresponsione della componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti; le medesime utenze effettuano la scelta di servirsi del gestore del servizio pubblico o del ricorso al mercato per un periodo non inferiore a due anni. |
La scelta in questione lede il principio della concorrenza
Indipendentemente dalla durata del “vincolo”, AGCM, con un recente parere del del 5 agosto 2022 che verrà pubblicato prossimamente sul proprio bollettino, boccia l’interpretazione dell’articolo 238 del Dlgs 152/2006 per cui il Pubblico servizio, in merito alla possibilità per cui le utenze non domestiche in questione, potrebbero esercitare la scelta di conferire i rifiuti ex assimilati al di fuori del servizio pubblico solo a condizione che tale conferimento riguardi tutti i rifiuti simili agli urbani dagli stessi prodotti (in pratica, o tutto o niente).
Le motivazioni del parere
Il comportamento attuato da una Pubblica Amministrazione italiana è stato cassato dal AGCM, con la motivazione che l’esclusione di tale possibilità per singole frazioni di rifiuti andrebbe a disincentivare il conferimento di rifiuti recuperabili al di fuori del servizio pubblico.
Infatti le utenze non domestiche, in questo modo, sarebbero, di fatto, costrette ad aderire al servizio pubblico cosi assicurando al gestore di quest’ultimo una “ingiustificata estensione della propria privativa” tutte le volte in cui nel territorio di riferimento non siano presenti soggetti industriali ai quali conferire tutte le frazioni di rifiuto simile all’urbano prodotto.
L’opzione di conferire al di fuori del servizio pubblico i rifiuti simili agli urbani prodotti da utenze non domestiche, secondo l’Authority, può essere esercitata anche con riguardo a singole frazioni.
Il tutto, si rileva dall’atto dell’Agcm. in contrasto con la ratio “pro-concorrenziale” della riforma operata dal Legislatore nel 2020 (e ritoccata dalla legge 118/2022-cd. “Legge Concorrenza 2021”) che, come confermato anche dalla Nota Mite 37259/2021, da un lato intende introdurre maggiore certezza in ordine alle tipologie di rifiuti “simili” agli urbani, dall’altro amplia lo spettro delle operazioni di gestione che giustificano una riduzione della Tari.
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